Umiliati dobbiamo diventare umili

L'omelia del vescovo Marino a conclusione del Convegno diocesano di inizio anno pastorale

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Con la celebrazione eucaristica presso la Cattedrale di Nola, si è chiuso ieri sera il Convegno diocesano di inizio anno della Chiesa di Nola.

"Quello che viviamo è un tempo dello Spirito, - ha detto il vescovo Marino nell'omelia - che ci invita ad andare incontro agli altri e a parlare di Gesù attraverso la nostra vita. Il virus ha cancellato le nostre abitudini e non potremo più fare come prima: possiamo partire dall'essenziale, abbandonando presunzioni e orgogli. Umiliati dobbiamo diventare umili. Siamo stati umiliati nei nostri programmi e nelle nostre sicurezze. Questo è un tempo che ha bisogno di umili lavoratori, non di comunità ideali ma reali, di uomini e donne con i loro limiti, che comunichino la speranza, la speranza di Cristo Risorto, perché, come Paolo oggi ci ricorda, siamo di Cristo. La Chiesa è solo di Cristo. Guardiamo la Chiesa come fa lo Spirito, che la vede del Padre e di Gesù".

Durante la Santa Messa si è svolta la Declaratio e la Professio fidei dei diaconi Alfonso Iovino, Giovanni Napolitano e Giuseppe Napolitano, che questa sera saranno ordinati sacerdoti.


Il testo integrale dell'omelia del vescovo Marino

Carissimi fratelli nel presbiterato e nel diaconato, religiosi e religiose, consacrati e fedeli laici della Chiesa di Nola, 

La Liturgia della Parola di questa domenica 24a del TO ci insegna a vivere e condividere il perdono di Dio. Il Vangelo, soprattutto, richiama, in continuità con le domeniche precedenti, la forma che struttura la comunità cristiana fondata sul mistero pasquale del Signore. Il vissuto della comunità in tutte le sue dimensioni è strutturato sulla carità. Oggi questa si esprime come perdono fondato sulla misericordia di Dio che è grazia che rigenera. Se siamo graziati da Dio, a nostra volta viviamo nella grazia e facciamo grazia ai fratelli.

La legge del taglione, «occhio per occhio e dente per dente» (Es 21,24), poneva una perfetta corrispondenza fra il danno causato e la pena inflitta. Dio, però, esige molto di più dal credente: egli deve imitare il comportamento di Dio e imparare ad aprire il cuore al perdono. L'esperienza ha insegnato a Gesù Ben Sira che la vendetta, le liti e i risentimenti rovinano i buoni rapporti tra gli uomini ed esorta perciò a vincerli con il perdono (prima lettura).

Con la sua morte e risurrezione, Cristo ha stabilito il suo dominio su tutti gli uomini. Abbiamo il dovere di riconoscerlo come nostra guida, modello da imitare, termine ultimo della nostra speranza. Siamo i servi del suo amore, e nei riguardi dei fratelli non dobbiamo comportarci con severità e durezza, ma imitarlo nella dolcezza e nella misericordia, astenendoci soprattutto dal giudicare i fratelli e condannarli senza appello (seconda lettura).

La misericordia di Dio è senza limiti e il suo giudizio verso i peccatori è sempre un giudizio di perdono. Da questo atteggiamento di Dio nasce per il cristiano l'esigenza di perdonare il prossimo con la stessa larghezza e misericordia con la quale lui stesso è perdonato da Dio (vangelo).

In questo orizzonte che la Parola di Dio ci rivela, si colloca la conclusione della prima tappa del nostro Convegno Pastorale Diocesano: “Spiegò loro in tutte le Scritture. Il Vangelo del Risorto nostro punto di partenza”. Riprendo, perciò, alcuni punti che a me sono sembrati significativi in quanto ci siamo detti.

In effetti questo tempo è davvero tempo dello Spirito, nel quale farci condurre dall’amore di Gesù. Lasciamoci prendere dal suo amore e affidiamoci a questo, senza cercare tutte le risposte, ma iniziando a volere bene, a metterci a disposizione, a ricostruire come possiamo quei legami che si sono interrotti e quelli che abbiamo visto che non c’erano e che hanno lasciato tanti in solitudine. Pieni di Spirito, cioè dell’amore di Gesù, andiamo incontro agli altri, parliamo di Gesù, della sua speranza, e facciamolo soprattutto con la nostra vita. In questi mesi tantissime persone sono rimaste legate a noi e tra di loro attraverso i mezzi di comunicazione sociale e si sono scoperti spiritualmente uniti e questo ha dato tanta consolazione e compagnia. Non dobbiamo ripartire da qui? Sappiamo che non cambierà tutto, che dovremo confrontarci con la nostra vita di sempre, ma anche che lo Spirito ci sta aiutando a trovare le risposte nuove. Come il seme: sappiamo che in esso c’è qualcosa che produce vita, che esso contiene già il frutto anche se oggi non lo vediamo. Abbiamo tutti un impegno da assumere: non lasciar cadere, anzi irrobustire i gesti, i segni, le iniziative di prossimità e di opportunità nuove che si sono avviate con il coronavirus.

Lo Spirito come un vento forte ha aperto le porte e ci ha trascinato fuori, liberandoci dalle nostre paure e dall’affannosa ricerca di sicurezze previe per vincerle, donandoci una sicurezza nuova che troviamo solo “uscendo” e iniziando una nuova stagione pastorale, diversa da quella del nostro protagonismo perché frutto dello Spirito.

Abbiamo compreso nella storia e nell’oggi la visione del Concilio: “Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore” (GS 1). Lo sapevamo, ma altro è capirlo nella vita. Questo grande segno dei tempi, questo kairos ci ha reso contemporanei del nostro tempo, costringendo a dare risposte nell’oggi, a ritrovare il valore di quello che siamo, liberandoci e riscoprendo la creatività dello Spirito per rispondere all’ansia della creazione e delle creature che aspettano speranza e sono nelle doglie di un parto. I segni dei tempi sono indispensabili da comprendere per vivere e comunicare il Vangelo, perché in essi parla il Signore e dobbiamo noi comunicare la fede che ci è stata affidata perché la testimoniamo al mondo. Il Vangelo parla nella storia e ci apre a questa.

Siamo stati tutti umiliati nei nostri programmi e nelle nostre sicurezze. Il virus ha cancellato tutti gli impegni, i ruoli consolidati, le abitudini per cui potevamo cercare di fare come sempre e adesso non possiamo più dire che faremo come prima! Abbiamo lasciato tante cose inutili e possiamo ripartire dall’essenziale. Dobbiamo scegliere di essere umili, cioè metterci al servizio gli uni degli altri, abbandonando le presunzioni e gli orgogli, le “idee alte di noi stessi” che non ci fanno aiutare chi abbiamo vicino, che ci fanno sempre credere troppo importanti per fare qualcosa gratuitamente a chi ce lo chiede. Questo tempo ha bisogno di umili lavoratori. Possiamo iniziare a parlare con tutti, stabilire contatti che erano spezzati o inesistenti, uscire per davvero perché tutti sono fuori, ritessere rapporti e servire il prossimo.

Non comunità ideali o di categorie astratte, ma reali, di uomini e donne a cui legarsi, limitate, certo, perfette non perché senza macchia ma perché piene dell’amore di Gesù.

L’esperienza che abbiamo vissuto diventa cuore, interiorità, perché non resti solo un’emergenza. Un noto psichiatra (Eugenio Borgna), sempre attento a leggere la realtà, commentando la pandemia ha detto: “Facilmente, cessato il pericolo, negli uomini subentra l’oblio. Ci sarà però qualcuno, non so quanti, che in questo tempo di dolore avrà colto l’occasione per stare più attento, per ascoltare se stesso e l’altro più profondamente. Sì, alcuni di noi, dopo questa aspra prova, rinasceranno: capaci di una nuova speranza». Ecco, dalla pandemia dobbiamo comunicare speranza ed essere tra quelli che, in questo tempo di dolore, riscoprono il senso del destrino comune, di una comunità di appartenenza e di testimoni della speranza di Cristo.

Papa Francesco nel giorno di Pentecoste ci ha liberato anche da letture vecchie, esterne alla Chiesa eppure che tanto la influenzano anche al suo interno. “Lo Spirito viene a noi, con tutte le nostre diversità e miserie, per dirci che abbiamo un solo Signore, Gesù, un solo Padre, e che per questo siamo fratelli e sorelle! Ripartiamo da qui, guardiamo la Chiesa come fa lo Spirito, non come fa il mondo. Il mondo ci vede di destra e di sinistra, con questa ideologia, con quell’altra; lo Spirito ci vede del Padre e di Gesù. Il mondo vede conservatori e progressisti; lo Spirito vede figli di Dio. Lo sguardo mondano vede strutture da rendere più efficienti; lo sguardo spirituale vede fratelli e sorelle mendicanti di misericordia. Lo Spirito ci ama e conosce il posto di ognuno nel tutto: per Lui non siamo coriandoli portati dal vento, ma tessere insostituibili del suo mosaico” (Omelia Pentecoste, 31.V.2020).

La Chiesa è solo di Cristo e se il mondo isola e divide noi a maggiore ragione dobbiamo essere uniti e fedeli a questa madre che cerca di ricordarsi di tutti. Tutto quello che offende e umilia la comunione è sempre frutto del male e ci impegna ad amare la Chiesa rifiutando chi parla contro senza sforzarsi di cambiare e di andare d’accordo, chi giudica invece di servire, chi si contrappone invece di aiutare. Credo che come non mai dobbiamo essere vicini alla Chiesa tutta, rendendola forte; perché se il virus isola, la Chiesa unisce.

Il vangelo di queste ultime domeniche del TO ci ha condotto a meditare e a confrontarci con il nostro essere comunità. In questo tempo, tanti presbiteri e responsabili di comunità, catechisti, operatori pastorali a vario titolo e ministero, hanno cercato di raggiungere le persone nelle loro case, regalare riflessioni, spazi, momenti spirituali e di consolazione. Molti hanno vissuto tutto questo in famiglia e ci siamo accorti come la Chiesa finalmente non restava fuori dalla vita vera, dai luoghi dove questa scorre e diventava essa domestica, cioè una comunità di relazioni familiari, un incontro di persone che si vogliono bene e che non possono stare senza gli altri, che nel loro amore mettono in pratica il comandamento di Cristo. Possiamo tornare a manifestare il nostro essere comunità, famiglia, perché la “chiesa domestica” è l’essenza stessa del cristianesimo. Il convegno pastorale in sintesi ci ha comunicato che la Chiesa raccoglie le persone in piccole comunità, con l’apporto di tutti, con il coinvolgimento di persone responsabili, fondate sul contributo di tutti.

Vi benedico e vi auguro di affrontare il nuovo anno pastorale nelle prospettive evangeliche che lo Spirito Santo ci ha indicato con la gioia e la pace di Cristo.

+ Francesco Marino                                            

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