Terzo giorno di esercizi spirituali guidati dal vescovo

Un passo in più nel cammino. La meditazione di questa mattina

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Da poco si è conclusa la preghiera dei vespri. 

Questa mattina il vescovo ha ripreso la meditazione, soffermandosi sulla saluta di Gesù sul monte Tabor, con i discepoli. 

"Gesù sul monte con i suoi discepoli, per pregare (Mc 9,2; Lc 9,8). Sei giorni dopo. Il racconto della Trasfigurazione di Gesù si apre con un’indicazione temporale («sei giorni dopo» in Mt 17,1 e Mc 9,2, «otto giorni dopo» per Lc 9,2) che ha suscitato tante questioni e interpretazioni:

  • si tratterebbe di un modo semitico, magari per alludere a un Sabato, o al giorno della risurrezione di Gesù (a parere di coloro che immaginavano la trasfigurazione fosse in origine un racconto di apparizione del Risorto),
  • o di un riferimento alla scena di Mosè sul monte Sinai.
  • Anche papa Benedetto è intervenuto su tale problema, e ha riproposto la tesi di due studiosi, Jean-Marie van Cangh e Michel van Esbroeck, che hanno letto la nota temporale in relazione a due feste del calendario giudaico, quella di Kippur e quella delle Capanne (Joseph Ratzinger - Benedetto XVI, Gesù di Nazaret, 353).

Senza pensare di dirimere l’intricato dilemma, più semplicemente, ci interessa che il riferimento sia certamente - almeno questo si può dire - a quanto appena narrato sopra dai vangeli: non soltanto il pronunciamento di Gesù sul fatto che alcuni tra i discepoli non sarebbero morti prima di aver visto la potenza del regno di Dio (Mc 9,1), ma soprattutto quanto accaduto a Cesarea di Filippo (8,27-30) e l’evento seguente, il primo annuncio della passione, morte e risurrezione, compreso il rifiuto di tale annuncio da parte di Pietro (8,31-33).

Il testo, nel suo significato più semplice e immediato, sembra volerci dire che Gesù ha ancora con sé, «sei giorni dopo», quelle sensazioni che lo hanno accompagnato per i giorni precedenti e che sono state causate dagli eventi a cui si è accennato. Di quali sentimenti stiamo parlando?

Intanto, è bene ricordare che occuparci dei “sentimenti di Gesù” è possibile, anche se è vero che dai vangeli

  • non possiamo aspettarci quella introspezione psicologica tipica di certi caratteri o personaggi, ben nota alla narrativa del romanticismo e a quella più moderna.
  • E non ci stiamo nemmeno semplicemente riferendo a ciò di cui parla Paolo nella sua Lettera ai Filippesi, quando esorta ad avere «gli stessi sentimenti di Cristo Gesù» (Fil 2,5): in quel caso, si trattava di seguire il suo esempio, ovvero, come spiegava papa Benedetto XVI, di «non considerare il potere, la ricchezza, il prestigio come i valori supremi della nostra vita, perché in fondo non rispondono alla più profonda sete del nostro spirito, ma aprire il nostro cuore all’Altro, portare con l’Altro il peso della nostra vita e aprirci al Padre dei Cieli con senso di obbedienza e fiducia, sapendo che proprio in quanto obbedienti al Padre saremo liberi» (Udienza generale, mercoledì 1 giugno 2005).
  • Non parliamo qui nemmeno di un’analisi puntigliosa - che del resto altri hanno già intrapreso - della ventina di verbi che nei vangeli sinottici hanno come soggetto Gesù e che esprimono sentimenti e affetti (ad es.: G. Tanzella-Nitti, «La psicologia umana di Gesù di Nazaret»; A. Miranda, I sentimenti di Gesù. I verba affectuum dei vangeli nel loro contesto lessicale): dalla pagina della trasfigurazione che stiamo leggendo non sembrano emergere verbi che dicano cosa ha provato Gesù, e non è la strada che vogliamo percorrere.

Ci soffermiamo invece su quello che i testi non dicono espressamente, ma che ciononostante possiamo inferire da come sono costruiti e da quello che viene narrato. Vediamo anzitutto come arriva Gesù sul monte della trasfigurazione.

I sentimenti di Gesù, «sei giorni dopo», quali sono? Dovevano essere molteplici.

  • Da una parte, appena qualche giorno avanti il Maestro si era sentito capito da Pietro. Era stato lui, il “Primo” dei Dodici (Mt 10,2) a riconoscerlo Messia, e a cogliere qualcosa di importante della sua identità: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente» (Mt 16,16). Ma Pietro aveva davvero compreso bene? Dicendo che era il Cristo, cosa aveva visto di lui?
  • Accanto a questo sentimento di Gesù però ve ne doveva essere un altro, che questa volta arrivava addirittura all’esperienza estrema, quella della morte: sei giorni avanti, Gesù aveva annunciato per la prima volta che sarebbe andato a Gerusalemme e l’avrebbero ucciso. Forse non possiamo nemmeno immaginare cosa potesse implicare una tale lucidità di espressione, e anche se diversi esegeti da molto tempo leggono queste parole di Gesù nel senso di profezie ex eventu che gli sarebbero state messe sulla bocca dalla tradizione (magari per ovviare a qualche incongruenza nei vangeli), Gesù, a nostro parere, invece, ha certamente messo in conto, ad un certo punto, la sua morte. Gesù va incontro alla morte e lo fa lucidamente, e questo non può non aver inciso sul suo modo di vivere, e sui suoi sentimenti, per arrivare al monte
  • Ancora, i sentimenti di Gesù saranno stati accompagnati dalla delusione e dalla percezione di una forte incomprensione: se prima doveva essersi sentito compreso da Pietro, quando questi aveva riconosciuto la sua messianicità, dopo l’annuncio della sua passione Simone si mette semplicemente nei panni di Satana. Pietro è come il tentatore che aveva mostrato a Gesù un’altra via, quella che prevedeva la protezione degli angeli e l’immunità dal dover inciampare in una pietra (cf. Mt 4,5 e Lc 4,10): allo stesso modo, ora Simone vuole che a Gesù non accada nulla di male (Mt 16,22: «Dio non voglia, Signore; questo non ti accadrà mai»).

Detto questo, ora mi posso domandare anche quali siano i miei sentimenti. Come arrivo qui, «sei giorni dopo», cosa mi è accaduto, che ancora mi porto nel cuore? Dopo cosa giunge il mio essere su quello che anche noi possiamo chiamare il “nostro monte”? Dopo quali eventi recenti o remoti, dopo quali fatti, piacevoli o traumatici?

Torniamo al passo.

Da quanto abbiamo appena ricordato, si può forse comprendere perché Gesù salga sul monte, ovvero per almeno tre ragioni:

1) per pregare;

2) perché la tentazione era iniziata lì, su quello che abbiamo già chiamato per comodità “Tabor”;

3) perché Gesù educa i suoi discepoli portandoli proprio su un monte.

Tra tutti i vangeli, quello che fornisce almeno una ragione per cui Gesù sale sul Tabor, è il vangelo secondo Luca. Luca è infatti l’evangelista che più di tutti insiste sulla preghiera, e lascia pregare Gesù anche quando gli altri vangeli non lo dicono: al battesimo (Lc 3,21: «Gesù, ricevuto anche lui il battesimo, stava in preghiera»), alla scelta dei Dodici (Lc 6,12: «In quei giorni egli se ne andò sul monte a pregare e passò tutta la notte pregando Dio»), e, appunto, sul monte della trasfigurazione: «Circa otto giorni dopo questi discorsi, Gesù prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo e salì sul monte a pregare» (Lc 9,8).

  • La prima reazione di Gesù di fronte a quanto accaduto sei giorni avanti (per Luca: otto giorni) e nei giorni seguenti, come scrive Luca, è la preghiera. Anche se il testo non lo dice, forse dovremmo parlare di una vera e propria terapia, una modalità con la quale Gesù risponde alle sollecitazioni che gli sono giunte dalla confessione di Pietro, dal suo annunciare la prossima morte, e, ancora, dall’incomprensione di Pietro-Satana.

Ogni momento di preghiera, questo tempo di preghiera, è un tempo favorevole per fare unità e raccogliere i sentimenti, compiendo il discernimento degli spiriti per lasciarsi così guidare da Dio attraverso i successi e gli insuccessi, le gioie e le prove della vita, tutto quello che ci accade e che rischiamo di subire, anziché vivere con, appunto, «i sentimenti di Cristo Gesù» che anche noi vogliamo avere.

  • La seconda ragione. Per Gesù salire sul Tabor doveva significare tornare proprio lì dove tutto era iniziato, dove lo Spirito lo aveva già portato.

Non è scritto nei vangeli sinottici (anche se Matteo parla di un «monte alto» su cui Gesù è trasfigurato, che successivamente verrà identificato col Tabor), ma in un apocrifo, il Vangelo degli Ebrei 4,1, secondo quanto viene riportato da Origene e da san Girolamo. All’inizio di quel vangelo, che gode di un grande prestigio, Gesù afferma: «Mi ha appena preso mia madre, lo Spirito Santo, per uno dei miei capelli e mi ha portato sul grande monte Tabor» (Origene, In Johannem 2,12; cf. In Jeremiam 15,4).

Si tratta di un testo interessante, e non solo perché lo Spirito viene presentato come madre, in quanto in ebraico la parola ruah è femminile. A riguardo, non risulta difficile spiegare quello che l’apocrifo voleva dire, e come già Girolamo doveva aver capito, ricordando che «il Verbo di Dio è nato per opera dello Spirito» (Girolamo, In Michaeam 7,6), riferendosi cioè al ruolo che lo Spirito svolge nel concepimento verginale di Maria: la maternità dello Spirito è vera, ma è espressa qui in senso metaforico, spirituale.

Più interessante, per noi, è il riferimento al Tabor, il che ci potrebbe far pensare che il Vangelo degli Ebrei stia parlando della trasfigurazione; invece, è più probabile che alluda al monte della tentazione, più precisamente alla terza nella sequenza di Matteo. Secondo il racconto matteano infatti Gesù è trasportato, come detto, su un monte molto alto (hypselòn; Mt 4,8), mentre per Luca è semplicemente, per la seconda tentazione, «condotto in alto» (Lc 4,5), ma non su un monte. Il monte “alto”, hypselòn, ritornerà ancora nel vangelo di Matteo, appunto, nel racconto della trasfigurazione (Mt 17,1; cf. Mc 9,2; per Luca Gesù è semplicemente su un monte sul quale sale per pregare; cf. Lc 9,28). Forse il Vangelo degli Ebrei continua a pensare che sia lo Spirito a condurre Gesù, dal deserto - dove era stato portato proprio dallo Spirito - proprio su quel monte, perché si compia la prova; in ogni caso, non è esattamente la versione di Matteo: se lo Spirito è l’agente della prova, è poi invece il diavolo a trasportare Gesù sulla montagna (Mt 4,8).

Nel Vangelo degli Ebrei Gesù sta descrivendo un’esperienza estatica, simile a quella già vissuta da altri profeti, quali Ezechiele e Abacuc, che sono stati “afferrati”, non «per un capello», ma «per i capelli» (Ez 8,3: «Stese come una mano e mi afferrò per una ciocca di capelli: uno spirito mi sollevò fra terra e cielo e in visioni divine mi portò a Gerusalemme, all’ingresso della porta interna, che guarda a settentrione, dove era collocato l’idolo della gelosia, che provoca gelosia»; Dn 14,36, dove Abacuc viene preso e portato a Babilonia: «Allora l’angelo del Signore lo prese per la cima della testa e sollevandolo per i capelli lo portò a Babilonia, sull’orlo della fossa dei leoni, con l’impeto del suo soffio»).

Il monte Tabor, in definitiva, è sia il monte della tentazione, sia il monte della trasfigurazione. O, meglio, forse si potrebbe dire che è il monte dove Gesù viene trasfigurato proprio perché lì ha vinto la prova, si è conclusa la sua ultima tentazione (nella versione, ovviamente, di Matteo): la memoria di quella prima prova originaria si riaccende ora, quando Gesù torna dove la missione aveva avuto inizio.

Forse anche noi - se ci pensiamo bene - possiamo dire di essere stati afferrati per i capelli (qualunque cosa voglia dire per noi quest’espressione...). Questi esercizi spirituali sono l’occasione buona per ricordare le mie prove, tra le quali quelle dove sono stato preso all’ultimo momento, preso per un capello, tirato fuori a forza.

  • Vi è però una terza ragione per cui Gesù sale sul monte. Questa volta, diversamente dalla prima, Gesù non vi sale da solo, (o - meglio - con Satana, se l’allusione dal Vangelo degli Ebrei è alla tentazione). Non si tratta più soltanto di Gesù: insieme a lui ci sono altri tre altri uomini, Pietro, Giacomo e Giovanni. Secondo gli esegeti, le spiegazioni di questo dettaglio possono essere diverse, tra le quali la più probabile è che vengano messi in evidenza quei tre che avranno un ruolo importante nella chiesa.

Se però riprendiamo quanto abbiamo accennato sopra, forse potremmo trovare altre motivazioni per cui questi tre discepoli sono con Gesù. Nell’attesa di leggere anche la versione che proprio Pietro ci darà dell’evento, possiamo farci altre domande.

Gesù è salito con tre discepoli. Mi chiedo con chi salgo sul “monte”. Quali volti mi porto dietro, quali invece magari vorrei lasciare dietro di me. Quali ricordi e impressioni mi suscitano i volti di alcune persone: gioia, preoccupazione, tristezza, rabbia, rammarico. Con Gesù c’è anche Pietro, che l’ha deluso e lo deluderà ancora di più; c’è Giacomo, c’è Giovanni..."

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