Quel che ci resta della quarantena. Parte 1

Incontro, provvidenza, servizio, consapevolezza. Le prime quattro parole proposte da Avvenire quale dono da portare nel passaggio alla fase 2



La redazione di Avvenire, per l'uscita del 17 Maggio, ha interpellato compositori e operai, atleti e volontari, maestri e infermieri, sindaci e venditori di strada, parroci e studenti, chiedendo a ognuno uno sguardo verso il futuro. Riproponiamo le prime quattro parole cominciando da quella scelta da Domenica De Cicco, maestra 'diocesana'.

Incontro
Senza banchi, ecco le persone

Domenica De Cicco, maestra, 53 anni, Casalnuovo (Na)

Ho iniziato ad insegnare a 25 anni, oggi lavoro in una scuola primaria statale a Tavernanova, una frazione del paese. La passione per il mio impegno scolastico, che mi ha portato tra l’altro a far parte della Rete Nazionale degli insegnanti per la Gentilezza, non è venuta meno in questo periodo complicato per l’insegnamento e per le relazioni. Non è stato facile adattarmi ai ritmi e ai limiti della Didattica a distanza. All’inizio ero preoccupata: quest’anno seguo le quinte classi, i miei ragazzi sono all’ultimo anno, un momento delicato della loro vita. Poi mi è venuta in soccorso, tra le altre cose, la preghiera: sono consacrata dell’Ordo Virginum e nelle ore di dialogo con il Signore ho trovato risposta ai miei timori, scoprendo che dentro le difficoltà c’era un grande dono: l’incontro. Ho provato a trasformare la Didattica a distanza in possibilità di incontro con ciascuno dei miei alunni, coltivando non solo il legame pedagogico ma anche quello affettivo. Mi sono messa a camminare, seppur da ferma, insieme a loro e con chi mi è più prossimo, dai vicini alla famiglia, alla parrocchia. Ed è iniziato un viaggio. (testo raccolto da Mariangela Parisi)

Provvidenza
La potenza della solidarietà

Simone Cairo, sindaco, 51 anni, Bresso (MI)

Queste settimane di epidemia ci lasciano tante immagini di dolore: l’impossibilità di stare vicini e vegliare i propri cari durante la malattia e negli ultimi momenti della loro vita, la fila di camion militari con le salme in partenza da Bergamo, la disperazione degli infermieri nelle terapie intensive, la solitudine delle inumazioni dei defunti nei cimiteri chiusi. Bresso, il Comune di cui sono sindaco, ha avuto tanti ammalati nei primi giorni di diffusione del virus e nelle settimane successive purtroppo abbiamo pianto la scomparsa di molti concittadini. Come Sindaco ho potuto verificare, però, la potenza della solidarietà, la chiamerei meglio "Provvidenza". Nei momenti più difficili in cui pareva non esserci soluzione ai problemi contingenti, entrava nella mia vita, improvvisamente, una persona, un’azienda, qualcuno capace di portare una collaborazione indispensabile, una donazione inaspettata, l’arrivo di volontari. Credo che la consapevolezza che uniti possiamo tanto e di più, sia la speranza che possiamo intravedere per i prossimi anni. (testo raccolto da Francesco Riccardi)

Servizio
Dal black out una rivelazione

Suor Gabriella Perazzi, orionina, 49 anni, Tortona 

È stato tutto improvviso: l’irruzione del virus nella nostra casa di riposo con il contagio delle consorelle già malate e anziane, lo sgombero in tutta fretta, i 17 casi di positività accertati, e poi il ricovero e la morte di 8 di loro. Nella Casa madre delle Piccole Suore Missionarie della Carità di Don Orione a Tortona, dove sono economa, sono rimasta con un’altra suora ad assistere giorno e notte 6 consorelle, con la pressione delle notizie angosciose che ci arrivavano, chiuse dentro. Ho sperimentato un black out spirituale: proprio nel momento della maggiore difficoltà non riuscivo più a pregare. È in quella lunga ora buia che ho ritrovato il senso di tutta la mia vocazione: il servizio agli altri, prestato a chi dipende completamente da me, dal mio rimanere al suo fianco. Allora la carità si trasforma in preghiera, perché è proprio vero che Cristo non è lontano ma lo trovo nella carne dei sofferenti e dei poveri. Mi sono prodigata per rendere più leggera a tutte una situazione tanto difficile. E nella cura di chi mi è affidato sono riuscita a trovare un senso al mio restare. Per servire. (testo raccolto da Francesco Ognibene)

Consapevolezza
Stare con chi soffre ci dà forza

Marina Vanzetta, infermiera, 55 anni, Negrar (Vr) 

Che «si sta come d’autunno sugli alberi le foglie» lo sapevamo già. Ma non eravamo pronti a vedere tante foglie cadere tutte insieme. Abbiamo imparato l’inimmaginabile. Che a volte il tempo non ti dà tempo, e che la lotta può essere impari. Possiamo dire che il prezzo è stato alto, ma forse ce l’abbiamo quasi fatta: e dobbiamo continuare, perché siamo dei professionisti. Abbiamo toccato con mano la nostra resilienza. Lo sapevamo già noi, ora se ne sono accorti anche gli altri. Siamo, adesso, ancora più consapevoli delle nostre competenze, della nostra capacità di stare accanto a chi soffre senza lasciare mai nessuno da solo, anche se in questo tempo sospeso i nemici sono stati due – il virus e la solitudine –, entrambi impalpabili ma devastanti. Abbiamo rinforzato la nostra capacità di fare squadra tra di noi e con tutti gli altri operatori per portare a casa il risultato. Abbiamo imparato ancor di più l’irrinunciabilità della relazione con il paziente, che per noi è tempo di cura (testo raccolto di Marina Vanzetta)


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