L'amore può essere crocifisso ma non muore mai

Il direttore dell'Ufficio Liturgico continua a condurci nelle pieghe della liturgia del triduo pasquale. Ecco il suo racconto del Venerdì Santo


a cura di don Raffaele Rianna

direttore dell'Ufficio Liturgico

 

La notte sembra infinita, quando l’amato soffre e, anche se il sole del nuovo giorno è alto nel cielo, la vita cammina nel buio perché priva di riferimento. “Si fece buio su tutta la terra, da mezzogiorno fino alle tre del pomeriggio” (cfr. Mc 15,33) ci ricorda l’evangelista. Tutto è messo in discussione: il sole, la terra, le rocce, il tempio, i sepolcri, i morti e i vivi! Tutto è scosso, perché “sulla croce il male raggiunge la sua massima intensità: riesce ad uccidere l'autore della vita. Proprio in quell'evento Dio si esprime totalmente: in lui si precipita tutto il male del mondo, quel male che si vince solo portandolo. E Dio dà se stesso al male che lo crocifigge, a noi che lo crocifiggiamo” (E. Ronchi). “Ecce lignum Crucis” - “Ecco il legno della Croce”, ci dice la liturgia. Ecco dove guardare, dove ri-orientare la nostra vita.

L’ “Ecce lignum Crucis” è il cuore della liturgia del Venerdì Santo che si apre con un gesto insolito: la “prostrazione”. Con il peso del nostro popolo sulle nostre spalle andiamo verso l’altare. Il passo è grave, dignitoso l’inchino e, infine, con la faccia a terra, immersi in un solenne silenzio, a supplicare il Signore: “Parce Domine, parce populo tuo”, “Perdona Signore, perdona il tuo popolo”.

Non vorresti mai alzarti da quel “tutt’uno con la terra”, perché rinnova il ricordo del medesimo gesto vissuto anni addietro, nel giorno dell’ordinazione diaconale prima e sacerdotale poi. Non ci sono le litanie dei santi a scandire il tempo, c’è solo il silenzio che avvolge tutto... il silenzio delle nostre piazze, strade e città, delle nostre vite… il silenzio del mondo.

Ma bisogna rialzarsi e prestare attenzione alla Parola di Dio che parla al cuore. Una parola che non è incatenata (cfr. 2Tim 2,9), una parola che è “viva ed efficace” (Eb 4,12).

Il profeta Isaia canta la figura del servo del Signore (Is 52, 13-53,12), che “ha consegnato sé stesso fino alla morte” mentre “portava il peccato di molti”. L’autore della lettera agli Ebrei 4,14-16; 5,7-9 ci rammenta che Cristo, pur essendo Figlio, “imparò l’obbedienza” e così “divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono”, mentre Giovanni l’evangelista ci rende partecipi di ciò che accadde quel giorno di Parasceve a Gerusalemme (18,1-19,42). Come è importante questa Parola di Dio per noi in questo giorno di dolore! Essa dà respiro alla nostra preghiera, rende tutta la nostra volontà, tutto il nostro cuore tutt’uno con la preghiera di Cristo (D. Bonhoeffer).

Una lunga preghiera, infatti, raccoglie in uno spirituale abbraccio il mondo intero. È la preghiera di tutti e per tutti: per la Chiesa e per il papa, per i vescovi e per i sacerdoti, per tutti i fedeli e per l'unità dei cristiani, per gli ebrei, per i non cristiani e per coloro che non credono in Dio, per i governanti, per i tribolati e per noi tutti in questo tempo di pandemia. Una preghiera che ci prepara a “volgere lo sguardo a colui che hanno trafitto” (Gv 19,37), ad adorare il legno “al quale fu appeso il Cristo, salvatore del mondo” (Liturgia) che lentamente viene svelato, mostrandoci la suprema rivelazione di Dio. “Vedere l’Onnipotente nella scena della debolezza, della fragilità, del fallimento, della sconfitta, è il mistero del Venerdì santo al quale noi fedeli accediamo con l’adorazione”. (I. Rupnik, Omelie di Pasqua. Venerdì santo, Roma 1998, 47-53).

Quest’anno non potremo essere presenti in Chiesa, metterci in fila con la comunità ed incamminarci verso la grande Croce per offrirle il bacio dell’adorazione, non potremo appoggiare la nostra fronte, toccarla con le mani tremolanti come si fa con una cosa preziosa. Quante sensazioni racchiuse in un bacio, e ancora di più questo nostro bacio.

Il bacio di un uomo ha consegnato Gesù alla morte, il bacio del tradimento (cfr. Lc 22,48). Il nostro, sia un bacio diverso. Bacian­do Cristo, si baciano tutte le ferite del mondo, tutte le ferite dell’umanità, quelle ricevute e quelle date, quelle che gli altri ci hanno inciso e quelle che abbiamo inciso noi. Anzi, baciando Cristo, baciamo le nostre ferite” (I. Rupnik), baciamo quanti in questo tempo soffrono, lottano e sperano che tutto passi presto: i malati nel loro isolamento, le famiglie nelle loro paure e tiepide attese, i medici e gli operatori sanitari che assistono i sofferenti, i ricercatori scientifici che studiano una cura adeguata, le autorità civili e militari e le forze dell’ordine impegnate a salvaguardare il bene di tutti, coloro che con il lavoro ci assicurano beni di prima necessità, i volontari, i sacerdoti, le suore, noi, le nostre famiglie tutta la nostra comunità… le vittime di questa epidemia.

Baceremo la croce nelle nostre case ricordandoci di ciò che Papa Francesco ci ha detto durante l’intenso momento straordinario in piazza San Pietro (27 marzo 2020): “Abbracciare la sua croce significa trovare il coraggio di abbracciare tutte le contrarietà del tempo presente, abbandonando per un momento il nostro affanno di onnipotenza e di possesso per dare spazio alla creatività che solo lo Spirito è capace di suscitare. Significa trovare il coraggio di aprire spazi dove tutti possano sentirsi chiamati e permettere nuove forme di ospitalità, di fraternità, di solidarietà. Nella sua croce siamo stati salvati per accogliere la speranza e lasciare che sia essa a rafforzare e sostenere tutte le misure e le strade possibili che ci possono aiutare a custodirci e custodire. Abbracciare il Signore per abbracciare la speranza: ecco la forza della fede, che libera dalla paura e dà speranza”

Dire “Croce” è dire “Amore”. È proprio vero! È l’Amore che cambia il mondo e lo stiamo sperimentando in questi giorni. L’amore ci invita a risvegliare e attivare la solidarietà, la speranza, la condivisione, soprattutto verso chi vive situazioni di difficoltà economica o si sente solo, abbandonato.

Non dimentichiamo che il Signore “ci interpella dalla sua croce a ritrovare la vita che ci attende, a guardare verso coloro che ci reclamano, a rafforzare, riconoscere e incentivare la grazia che ci abita. Non spegniamo la fiammella smorta (cfr. Is,3), che mai si ammala, e lasciamo che riaccenda la speranza", perché nella sua croce “abbiamo un’ancora: nella sua croce siamo stati salvati. Abbiamo un timone: nella sua croce siamo stati riscattati. Abbiamo una speranza: nella sua croce siamo stati risanati e abbracciati affinché niente e nessuno ci separi dal suo amore redentore” (Papa Francesco).

E anche se dinanzi Crocifisso viene da chiederci: “Perché, Gesù, non sei sceso dalla croce?”. La risposta giunge così al cuore di tutti: “Non sono sceso perché avrei consacrato la forza come signora del mondo, mentre è l'amore l'unica forza che cambia il mondo” (Card. Comastri), perché l’Amore più essere crocifisso, ma non muore mai!





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