Il Cristo porta croce di Decio Tramontano

Tante le opere di pregio che le chiese e il museo diocesani custodiscono. La direttrice dell'Ufficio Beni Culturali, Antonia Solpietro, presenta un'opera del pittore manierista bruscianese Decio Tramontano

a cura di Antonia Solpietro

direttrice Ufficio Beni Culturali

Il Cristo porta croce , che abbiamo scelto di illustrare per questo tempo pasquale, è un pregevole dipinto su tavola custodito nella parrocchia di Santa Marina, in Avella (AV),  firmato dal pittore Decio Tramontano e datato 1581 (Decius Tramontis 1581). Le inedite fonti documentarie consentono di ricostruire sia il contesto di provenienza dell’opera, sia la vicenda della committenza al pittore Tramontano, un artista nato a Brusciano, uno dei casali di Marigliano, verosimilmente poco prima della metà del XVI secolo ed attivo almeno fino al 1608, quando dettò  le sue ultime volontà testamentarie. Formatosi nella bottega dei Criscuolo, di Giovan Filippo prima, e del figlio Giovan Angelo poi, ereditò da questi, quel fare della “maniera devota”, dolce e garbata propria del primo Cinquecento, arricchita delle esperienze pittoriche del realismo di Silvestro Buono e di Giovan Bernardo Lama, cui si affiancò il plasticismo proprio della maniera del pittore senese Marco Pino. 

Lavorò in diverse chiese della diocesi di Nola, a Lauro, Fontenovella dove dipinse un’Annunciazione, per l’omonima chiesa (1583);  a Marigliano, nel convento di San Vito,  una Madonna con il Bambino e i Santi Stefano, Michele, Gregorio Magno e San Francesco d’Assisi (1584); a Palma Campania, per la chiesa del Santissimo Rosario e del Corpo di Cristo, una Madonna del Rosario (1586 circa) e un Cristo porta croce (fine XVI secolo- primo decennio del XVII secolo), dall’attribuzione contesa tra Decio Tramontano ed Orazio de Carluccio; ancora a Marigliano nella chiesa della Pietà un Compianto su Cristo morto (firmato e datato 1599). Inoltre, nel Museo Diocesano nolano si custodisce una Madonna del Rosario, ricondotta da Luciana Arbace al pennello di Decio Tramontano e datata al 1580 ca.

Il dipinto di Avella, raffigura il Cristo nudo, posto in primo piano e leggermente di scorcio, con la mano sinistra sorregge la grande croce, che si appoggia alla spalla; dalla mano sinistra scende un flusso di sangue che riempie il calice sostenuto da un angelo inginocchiato ai suoi piedi, mentre dalla ferita aperta nel costato fuoriesce  sangue vivo che, si insinua nel perizoma che gli fascia morbidamente i fianchi. Gli fanno da corona gruppi di figure e schiere angeliche, che recano i simboli della Passione. La composizione ruota tutta intorno alla figura del Cristo, dalla secchezza del modellato; l'impasto sapiente dei colori del rosso, del verde e del giallo, risaltano sul fondo chiaro;. Un'aura devota pervade l'intera scena, mentre gli scorci richiamano la maniera di Marco Pino.


La committenza del Cristo porta croce di Avella si lega alla confraternita laicale del Corpo di Cristo
, (Societatis Sacratissimi Corporis Christi), nella chiesa di San Giovanni (oggi parrocchia di Santa Marina); qualche anno più tardi, Alberto de Frangi, fondatore della confraternita del Corpo di Cristo, nella omonima chiesa di Palma, sarà il committente della pala d'altare  raffigurante proprio, un Cristo porta croce, prossimo a quello avellano ( … icona lignea deaurata decenter depicta cum imagine Sanctissimi Corporis Christi…).  Si ricorda che l’erezione canonica della Società del Corpo di Cristo si deve a papa Paolo III (1534-1549) il 30 novembre 1539; la bolla di riconoscimento del sodalizio di Avella è del 18 giugno 1549 e reca la firma del cardinale Giovan Domenico de Cupis, decano del Sacro Collegio, protettore e difensore della venerabile confraternita del Sacratissimo Corpo di Cristo eretta nel 1538  nella chiesa della Beata Maria sopra Minerva a Roma; questo stesso cardinale concederà alla confraternita del Corpo di Cristo di Avella il privilegio della cura  della custodia  eucaristica e il diritto della processione del Santissimo Sacramento nel giorno del Corpus Domini; la partecipazione dei confratelli alle funzioni del Giovedì santo e della processione del Venerdì santo.

In epoca pre-tridentina, era consuetudine, la conservazione proprio nelle cappelle dedicate, al Corpo di Cristo della riserva eucaristica - tabernacoli a muro assolvevano a questa funzione. Anche per la cattedrale di Nola, fonti inedite, testimoniano l'esistenza della cappella del Corpo di Cristo, che accoglieva proprio il tabernacolo eucaristico, oggi esposto nel Museo Diocesano.

La confraternita del Corpo di Cristo di Avella erigerà, come si è detto, la propria cappella sotto lo stesso titolo nella chiesa di San Giovanni, dove nel 1586 è documentato sia il tabernacolo eucaristico, che la cona del Cristo porta croce, racchiusa entro una cornice lignea di tipo architettonico, oggi scomparsa. (  … tenendi tabernaculum cum Sanctissimo Sacramento in cappella predicta Sacratissimi Corpori Christi … aderat Icona lignea deaurata cum immagine Sacratissimi Corporis Christi …). Il Concilio di Trento poi, stabilizzò l’uso di porre la riserva sacramentale sull’altare maggiore; per cui molti di questi tabernacoli o custodie eucaristiche furono traslati su di esso, alcuni proprio dalle cappelle del Corpo di Cristo, generalmente poste in navata, ma in prossimità dell’altare maggiore. Lo stesso avvenne per la confraternita di Avella, che pur conservando la propria cappella, trasferirà entro il 1586, tanto per ordine apostolico, quanto vescovile, la custodia eucaristica sull’altare maggiore, continuando tuttavia ad esercitarne  la cura.

Il Cristo risorto di Michelangelo, in Santa Maria sopra Minerva a Roma, dovette verosimilmente costituire il modello per l’elaborazione della più articolata iconografia del Cristo porta croce o del Sacratissimo Corpo di Cristo, che divenne il soggetto prescelto, per le "cone o pale d'altare" delle  cappelle e delle chiese dedicate al Corpo di Cristo, a partire proprio dalla fine degli anni trenta del XVI secolo. Possiamo dunque oggi, ricondurre, questa  precisa iconografia al contesto storico, sopra delineato che, apre a nuove prospettive di ricerca. Emerge infatti, che gli stessi artisti chiamati a dipingere il "Sacratissimo Corpo di Cristo", spesso erano legati, se non ascritti al pio sodalizio.



Il Cristo di Avella di Decio Tramontano, è vicinissimo, come si è detto, a quello di Palma, che ritengo di ricondurre al pittore Orazio de Carluccio, per similitudini stilistiche con altre opere dell'artista, tra cui il Battesimo di Cristo, nella chiesa di San Giovanni, a Maddaloni. A questi due dipinti,  se ne aggiunge un terzo -  a questi assai prossimo - realizzato da Pompeo Landolfo, per la cappella del Corpo di Cristo, nell'omonima chiesa in Maddaloni.  Landolfo sarà poi, attivo a Baiano, dove dipingerà nel 1610, la grande pala d'altare raffigurante l'Invenzione della Santa Croce e del Santissimo Corpo di Cristo, come testimoniata dalle fonti, proprio per la confraternita del Corpo di Cristo, eretta sull'altare maggiore della chiesa di Santa Croce, ed oggi esposta nel Museo Diocesano. A ben vedere tanto Orazio de Carluccio, quanto Pompeo Landolfo erano in stretto contatto con la il sodalizio confraternale del Corpo di Cristo; la prima moglie del de Carluccio, Angelica, aveva lasciato dei legati di messe proprio alla detta confraternita; mentre il secondo è ricordato nelle guide del Seicento come il pittore delle "Storie della Passione di Nostro Signore".





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