Andrà tutto bene?

Questa crisi può insegnare tanto, anche a noi cristiani: la riflessione di don Domenico Panico.


a cura di don Domenico Panico

vicario episcopale per gli affari economici e amministrativi

parroco a San Francesco d'Assisi, contrada ai Romani, Sant'Anastasia



Pasqua in quarantena. Chi ha più fame: Tu, privo del Pane spezzato, o Lui, impedito di darsi a te in cibo? Pasqua di fame, dunque? Sì, fame d'Amore! (Bartolomeo Sorge)



Andrà tutto bene?

Come già l'11 settembre 2001, quando un attacco kamikaze a New York, abbatté il mito della invulnerabilità degli apparati di sicurezza, cosi oggi un invisibile virus è stato capace di bloccare il ritmo frenetico della nostra vita, facendoci scoprire, improvvisamente, nudi e impotenti dinanzi alle forze della natura.

Raramente nella storia dell'umanità ci è capitato di assistere a tragedie come questa, che non siano state determinate da guerre, e come questa crisi sanitaria che è divenuta, in breve tempo, vera crisi di sistema perché ha evidenziato l'iniquità di una concezione economicistica della vita che, fondata sui dogmi della globalizzazione e della speculazione, ha determinato squilibri e disuguaglianze, che, ora, quasi per paradosso, si tenta di arginare, ricorrendo alla generosità dei cittadini, a molti dei quali da tempo sono mancate tutele di cui non può fare a meno una comunità che voglia dirsi giusta ed equa.

La storia, però, ci insegna che dalle tragedie si può risorgere più forti di prima a condizione che si abbiano l'intelligenza e l'umiltà di mettere in discussione se stessi e il proprio modo di vivere. Questa crisi, dunque, può insegnarci davvero tante cose. Una, per esempio: parlando per paradossi, si può dire che il virus è molto più democratico di noi umani perché, in una società, strutturalmente asimmetrica, attacca tutti simmetricamente, non distinguendo tra ricchi e poveri, persone famose o semplici cittadini.

Anche noi cristiani dobbiamo riconoscere che, in questo periodo, abbiamo fatto scelte che, sebbene dettate dal buonsenso, non sempre sono state coerenti con la nostra fede e, talvolta, sono state, addirittura, ingenerose nei confronti del Signore: nonostante le numerose iniziative mediatiche, alle quali si è, forse, assistito più per esorcizzare la paura che per spirito di fede, in qualche modo abbiamo messo anche Dio in quarantena. È forse, un caso che, ovunque ci sia stata una chiesa aperta, pochi sono stati coloro che sono entrati per trovare conforto e luce davanti al Tabernacolo o al Crocifisso?

Se è vero che il bene comune esige misure che anche il credente deve osservare, perché vive nel tempo e nella storia, non è altrettanto vero che alla visita al Signore abbiamo anteposto quella alla salumeria e che, spesso, abbiamo partecipato a liturgie laiche ma trascurando la preghiera personale?

 Abbiamo partecipato ai flash mob, abbiamo suonato e cantato sui balconi, abbiamo riscoperto, perfino, lo spirito patriottico, cantando l'inno nazionale, abbiamo anche collaborato a iniziative benefiche, ma, in fondo, cosa abbiamo fatto se non quanto anche un non credente poteva fare?

Anche anche a noi, dunque, la crisi può insegnare molto se, con umiltà, ce ne lasceremo purificare.

Alcune immagini di questo tempo non possono e non devono diventare regola di vita. L'immagine delle nostre chiese parrocchiali deserte e quella di una piazza San Pietro, buia e vuota, attraversata solo dal suono delle sirene mentre il Papa benediceva il mondo, e, al contrario quelle delle lunghe code che si snodano davanti a farmacie e supermercati potrebbero, di fatto, essere l'immagine di un futuro, come non mai incerto, dove la paura riscriverà una mappa dei valori, al cui vertice non c'è Dio e la Sua divina Paternità, ma l'io e la ricerca del benessere. Tra le nebbie di un cristianesimo, spesso esangue e asfittico, quasi da sagrestia, potrebbe farsi strada, addirittura, la tentazione di fare della scienza e della tecnica, di cui abbiamo certamente bisogno, le uniche divinità alle quali chiedere aiuto.

 Ai medici, agli scienziati e a tutti gli operatori sanitari, che Papa Francesco ha efficacemente definito come i "santi della porta accanto", va il ringraziamento di tutti per l'abnegazione con cui tentano di lenire le sofferenze: anch'essi hanno pagato un alto contributo in termine di vite umane! Ma, appunto, come dice il Papa, essi sono Santi, non i sacerdoti di una nuova religione che medicalizza la vita dalla nascita alla morte. Anche in tempo di pandemia, infatti, non è per nulla normale che tanti fratelli muoiano senza la presenza di un volto familiare, di una parola di speranza e dei conforti religiosi, come se la morte fosse solo un incidente di percorso e non il supremum exitum...

Occorre, dunque, fare grande attenzione che gli imperativi di questi giorni, "lockdown" e "distanziamento sociale", non degenerino in atteggiamento costante, anche se inconsapevole, per cui il sospetto prevale sulla fiducia e la distanza sulla prossimità.

Ma, oggi, è Pasqua di Resurrezione e la liturgia ci invita a guardare avanti e oltre e, soprattutto, ci dice che questa crisi, pur essendo un flagello, non è il castigo di Dio, ma può essere provvidenziale occasione di cambiamento se saremo capaci, come dice il Vangelo, di separare la zizzania dal buon grano, e rinnovarci nella consapevolezza che Dio è Padre misericordioso e che, nel Figlio fatto Uomo, per noi morto e risorto, ci rassicura che "le porte degl'inferi non prevarranno".

Lo storico, Hubert Jedin, diceva: "La storia non ha reso gli uomini né saggi né prudenti. Con scoraggiante regolarità gli errori del passato vengono ripetuti. Ragione sufficiente per noi di esaminare la nostra coscienza per vedere se noi abbiamo una qualche colpa, ma nessuna ragione per dubitare della storia. Se essa diventa tragedia, la colpa è degli uomini che agiscono. Noi cristiani sappiamo, però, che al di sopra della tragicità e dell'apparente irrazionalità della storia, domina una suprema saggezza, che da senso agli avvenimenti umani, e una onnipotente bontà contro la quale nessuna stoltezza e malvagità umana hanno il minimo potere".

Ripartiamo, dunque, dalla Pasqua perché essa, che è passaggio attraverso il dolore e la prova verso una vita e una libertà nuove, non esclude, ma abbraccia e trasfigura la sofferenza umana, la debolezza e la fragilità, come ci assicura la testimonianza di Cristo coronato di spine, che regna dal trono della croce, dove muore abbandonato, per essere poi risuscitato dal Padre il terzo giorno.

Per convertirci all'amore, abbiamo bisogno della luce e del coraggio che ci vengono dalla Grazia per riconoscere che anche le mancanze di questi giorni possono essere pienezza e che anche il silenzio è parola. Dobbiamo invocare dal Padre occhi nuovi per riscoprire che la festa non si riduce al precetto domenicale, che la vera carità non è elemosina, che la vita non è solo biologia.
Finché non ci sarà possibile celebrare insieme l'Eucaresta, non siamo autorizzati a ritenere che non si possa santificare anche questo tempo di privazione con la preghiera e la carità, perché siamo consapevoli che la vita non viene da noi e che noi non siamo all'origine di noi stessi e del mondo. Gli occhi nuovi, di cui abbiamo bisogno, faranno crescere in noi la fiducia che Cristo, nostra Pasqua, è Vivo sempre, anche oggi, e parla alla nostra vita e nella nostra vita anche attraverso il silenzio, nel quale, ora, ci suggerisce di non archiviare facilmente il senso di precarietà e di impotenza che sperimentiamo, perché, proprio da esso, potrà emergere qualcosa di veramente bello e di inedito.

Oggi, come non mai, noi cristiani abbiamo la possibilità di annunciare a voce alta ciò che spesso taciamo e cioè che Cristo è Risorto e che, solo nella speranza di una vita che vince la morte, possiamo davvero gridare che "tutto andrà bene". Santa e felice Pasqua






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